È dalla fine degli anni ‘80 che si sente parlare di Information Age, l’era in cui le informazioni sono velocemente e (quasi) universalmente accessibili grazie a Internet. Tanto accessibili, onnipresenti, quasi invadenti, che ormai il bene scarso è diventato l’attenzione.
Il neologismo che meglio descrive le implicazioni quotidiane di quest’epoca è “Infobesity”: viviamo tra l’eccesso di input e il bisogno / desiderio di riceverne ancora, di saperne di più. In questo contesto di sovraccarico cognitivo, l’immagine e l’audio stanno acquisendo un peso crescente rispetto alla parola scritta. Pensiamo per esempio ad audiolibri e podcast, che stanno guadagnando spazio nel pantheon delle abitudini da intellettuali; o alla reach incrementale dei post multimediali negli ambienti social, che da tempo supera quella dei post di solo testo.
In particolare, la capacità che ha l’immagine di attirare l’attenzione andrebbe sfruttata in modo più tattico in tutti i contesti di fruizione che prevedono la spiegazione di fatti e/o numeri complessi. La rappresentazione grafica dei dati non è più un tema di mera estetica: è un tema di trasparenza, immediatezza comunicativa e soprattutto di creatività.
Scattare una foto per una pubblicità, per esempio, è una sfida creativa meno urgente di realizzare un’infografica per veicolare un messaggio sociale e stimolare una comunità ad attivarsi. Le opzioni sono tante: dalle foto, ai video in motion graphics, alle GIFs. Oggi la creatività è veicolo di sincerità: la democrazia digitale impone a istituzioni, aziende e personalità pubbliche di imparare a comunicare in maniera comprensibile e inequivocabile. La domanda di fondo è: come possono i dati essere messi al servizio della creatività?
Durante l’edizione 2018 di IF! Italians Festival abbiamo provato a rispondere a questa domanda insieme a Paolo Iabichino, Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather, Antonella Di Lazzaro, Deputy Director Digital di Rai, Luisella Giani, Responsabile Innovazione EMEA di Oracle e Paolo Ciuccarelli, Communication Designer, Density Design Research Lab e Professore Associato Politecnico di Milano.
Secondo Luisella, l’antinomia dati contro creatività è solo apparente. “L’Artificial Intelligence, ad esempio, è percepita da alcuni come una minaccia alle nostre capacità, da altri come una possibile integrazione alla mente umana.”
La risposta di Paolo Iabichino è che non esistono macchine creative. Il che evidenzia la necessità di un’integrazione, non di una sostituzione: “I dati sono utili nella misura in cui danno degli insight e aiutano a comunicare qualcosa a qualcuno.” E il suo omonimo, Ciuccarelli, concorda, sottolineando che “I big data ci hanno insegnato a rimettere al centro l’uomo e la sua capacità di elaborare le informazioni».
Al di là delle feature e della precisione crescente degli strumenti di misurazione e analisi, l’interpretazione di un dataset resta sempre prerogativa della mente umana.
E il tema della trasparenza? I dati servono anche a questo, ne fa un esempio RAI, che negli ultimi anni si è impegnata a rendere la propria offerta “contenuto-centrica”. Secondo Antonella “Il servizio pubblico ha la missione di parlare a tutti, e al contempo ai singoli individui. Nell’ottica della personalizzazione, abbiamo ripensato le nostre piattaforme di distribuzione secondo il modello on-demand e grazie ai recommendation system”. Un vero e proprio algoritmo creativo.
In conclusione, comunicare dati oggi significa semplificare la complessità, limitando il compromesso sul significato e rendendola accessibile a un pubblico più ampio. Il pubblico, che spesso diffida dei numeri, andrebbe sì educato, ma è compito del creativo conquistarne la fiducia riuscendo a catturarne l’interesse. Per questo motivo il creativo non può rinchiudersi in loci amoeni e prescindere dalla ricerca e dalla verità.
I numeri non fanno paura, i dati non vanno subiti: questa è la nostra sfida come Nielsen, un’azienda che da quasi un secolo nelle misurazioni e nelle conseguenti interpretazioni (sempre rigorose) esprime la propria personale creatività.